Il Museo Hendrik Christian Andersen è uno straordinario esempio di casa atelier di un artista scultore della prima metà del Novecento. E’ un luogo appartato, lontano dai grandi flussi di visitatori, ma ricco di fascino e suggestione.

Facciata con dedica alla madre sul portale principale

Aperto al pubblico nel 1999, è ospitato nell’edificio progettato dallo stesso Andersen tra il 1922 e il 1925 e donato allo Stato italiano, insieme a tutto quanto in esso contenuto (opere, arredi, carte d’archivio, materiale fotografico, libri) alla sua morte nel 1940.

La struttura, che adotta la tipologia della “palazzina con annesso studio di scultura“,  si inserisce con gusto e armonia nella rete urbanistica della zona di nuova espansione edilizia, vicino al Tevere e subito fuori Porta del Popolo.

Il villino, dedicato all’adorata madre Helene, all’esterno rispecchia  le scelte artistiche del proprietario che, in uno stile tra il Neorinascimentale e il Liberty, alterna stucchi e sculture a tutto tondo a decorazioni pittoriche di gusto floreale.

L’interno invece, in modo razionale, suddivide la parte privata, nei piani superiori, dai due grandi atelier al piano terra: la galleria, o sala di rappresentanza per l’esposizione delle opere finite, e lo studio, o laboratorio per la modellazione delle forme; questi ambienti costituiscono il suggestivo scenario nel quale si inseriscono le monumentali figure create da Andersen.

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Hendrik Christian Andersen, nato a Bergen in Norvegia nel 1872, fu costretto da bambino ad emigrare con la famiglia in America dove, grazie all’interessamento di alcune facoltose famiglie, iniziò la formazione artistica.

Per perfezionare e completare gli studi, nel 1894 Hendrik intraprese insieme ai due fratelli, anch’essi artisti, un viaggio in Europa e in Italia, al termine del quale decise di stabilirsi a Roma, dove visse per oltre quarant’anni.

Qui il giovane scultore, oltre a visitare i musei e studiare i capolavori dell’arte, soprattutto rinascimentale, si fece conoscere e apprezzare come ritrattista di scrittori, giornalisti, politici e intellettuali americani, riuscendo così gradualmente a entrare a far parte di quella colta élite culturale straniera ben presente  nella capitale.

In particolare, strinse amicizia con il celebre scrittore statunitense Henry James che, sebbene più anziano di lui, mostrò un sincero apprezzamento per la sua arte e la sua personalità,  e mantenne a lungo un solido legame documentato da una fitta corrispondenza di circa settanta lettere.

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Nonostante il successo come autore di busti ritratto, l’attività di Andersen fu però quasi esclusivamente  incentrata sulla creazione di una utopistica “Città Mondiale”, destinata a essere la sede internazionale di un perenne laboratorio di idee nel campo delle arti, delle scienze e del pensiero filosofico e religioso.

Chiamata World Centre of Communication, questa città avrebbe dovuto essere una sperimentale capitale mondiale, priva di un preciso ruolo politico, in cui potesse essere riunito il meglio dell’Occidente, con grandiosi edifici e sculture monumentali.

La maggior parte della produzione di Andersen, comprendente sculture di gesso e bronzo, dipinti e opere grafiche, ruota pertanto sui temi dell’amore, della maternità, del vigore fisico, dell’intelletto che trionfa sulla forza bruta, efficacemente rappresentati nelle imponenti figure di eroi ed eroine che popolano i due grandi atelier del piano terra.

A Villa Helene ogni cosa racconta di questa “gloriosa utopia”, questo sogno che divenne per Andersen quasi un’ossessione ma che, lungi dall’essere considerato il delirio di un singolo, si inserisce nei dibattiti politici facenti capo al movimento pacifista internazionale guidato dalla colta borghesia intellettuale di inizio Novecento.

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Rimasta inalterata nel tempo, sia nelle linee architettoniche sia nelle opere custodite all’interno, la villa racchiude il gusto personale di Andersen e al contempo il gusto generale dell’epoca, lo spirito del tempo di cui si fa portavoce.

L’eccezionalità di questa casa museo sta dunque nel suo valore non solo artistico, ma anche storico sociale, essendo una galleria di scultura ma anche e soprattutto un centro di riflessione sull’architettura e sull’urbanistica, basato sull’idea che il progresso e l’arte potessero affrancare l’umanità da ogni bruttezza e meschinità.

Fiorenza Rausa