La raffigurazione della Natività di Cristo è, molto probabilmente, uno dei soggetti più rappresentati nell’arte di tutti i secoli. L’immagine della venuta al mondo di Gesù è fra le più coinvolgenti testimonianza del messaggio cristiano della salvezza dell’umanità tramite il mistero dell’incarnazione divina.

Nell’impossibilità di ricordare tutte le innumerevoli scene che, fin dai primi secoli del cristianesimo, sono state ispirate da questo soggetto, proveremo comunque a delineare un percorso sintetico, ripercorrendo gli esempi più significativi e le diverse interpretazioni iconografiche.

Secondo le attuali conoscenze, la più antica scena di Natività si trova a Roma, nelle Catacombe di Priscilla lungo la via Salaria, e risalirebbe al III secolo. Raffigura la Vergine con in braccio il Bambino e accanto un uomo, probabilmente un profeta, che indica una stella.

E’ però a partire dal V secolo che si canonizza la rappresentazione della Natività, in seguito al Concilio di Efeso del 431, in cui si proclama il dogma della divina maternità di Maria.

Dalle descrizioni fornite dalle fonti, fra cui i Vangeli di San Luca e San Matteo e i Vangeli apocrifi, si delineano progressivamente figure e ambientazioni, spesso dal valore simbolico.

San Giuseppe è raffigurato talvolta inginocchiato talvolta in disparte, accovacciato mentre dorme, a sottolineare il suo ruolo non attivo nella procreazione.

Il bue e l’asino invece, già evocati nell’Antico Testamento dal profeta Isaia, sono interpretati come Giudei e Pagani quale nuovo Popolo di Dio.

Il Bambino è collocato nella mangiatoia dove, seguendo il Vangelo di Luca, Maria lo depone avvolto in fasce.

La presenza delle reliquie, sia della mangiatoia – in latino praesepium – sia delle fasce, è attestata a Roma già dal VII secolo nella basilica di Santa Maria Maggiore, chiamata nel Medio Evo anche Santa Maria ad praesepium.

Per questa chiesa il papa francescano Niccolò IV nel 1291 fece realizzare da Arnolfo di Cambio la più antica Natività scultorea, con lo stesso intento con cui San Francesco nel 1223 aveva ideato il primo Presepe vivente a Greccio.

Per molti secoli la Vergine in genere fu rappresentata distesa come una puerpera, a voler trasmettere la fatica del parto, secondo una iconografia orientale. Così è, ad esempio, nel dipinto di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, nel mosaico di Pietro Cavallini in Santa Maria in Trastevere a Roma o nel rilievo di Giovanni Pisano nel duomo di Pisa.

A questa tradizione medievale sembra ancora ispirarsi Caravaggio, sia nella tela di Messina – realizzata durante il soggiorno siciliano nel 1609 – sia nella perduta opera di Palermo – dipinta probabilmente intorno al 1600 -, in entrambe le quali la Vergine è sdraiata sulla nuda terra, in atteggiamento di grande umiltà e toccante umanità.

Nell’arte occidentale a partire dal XIV secolo, e ancora di più nel periodo della Controriforma, divenne invece usuale rappresentare la Vergine in ginocchio in preghiera o in adorazione davanti al Bambino.

Poiché la venuta al mondo di Gesù è finalizzata al suo sacrificio per la salvezza dell’umanità, spesso nella scena sono presenti allusioni alla sua morte.

Il sarcofago ad esempio, se da una parte simboleggia la saldatura fra cristianesimo e antichità, dall’altra collega la nascita di Cristo alla futura Passione, evocata anche da altri particolari quali il drappo su cui è deposto il neonato, o la presenza del crocifisso, oppure il fatto che il bimbo dorma, prefigurazione del sonno della morte.

Molto interessante è l’analisi dell’ambientazione della scena che può svolgersi sotto una tettoia fra le rocce, con una combinazione fra le tradizioni della capanna e della grotta, oppure fra le rovine di architetture classiche, a significare la fine del paganesimo, oppure ancora sullo sfondo di ampi paesaggi spesso densi di riferimenti allegorici.

A partire dal Cinquecento però l’ambientazione è quasi esclusivamente notturna, cosa che, nell’offrire agli artisti la possibilità di cimentarsi in suggestivi effetti luministici, permette di dare concreta visibilità al concetto del bimbo divino venuto ad “accendere una luce nelle tenebre del mondo”.

Fra le prime immagini in tal senso troviamo il meraviglioso dipinto del Correggio, realizzato entro il 1530, conosciuto anche come “La Notte”. In esso è l’inedita idea di far scaturire l’intera illuminazione della scena dalla figura stessa di Gesù Bambino, un piccolo corpo che si fa luce irradiante, il Dio incarnato che acquista uno splendore sovrannaturale e illumina ogni cosa.

Innumerevoli artisti seguiranno questo esempio, da Federico Barocci a Gerrit van Honthorst, da El Greco a Rubens a Guido Reni.

In ognuno di essi, coerentemente con la propria cifra stilistica, la luce divina si espande e vivifica le figure degli astanti, raggiungendo un suggestivo risultato visivo per un sublime significato simbolico.

Fiorenza Rausa

           

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