Nella settimana che precede la Pasqua vi voglio idealmente portare in un luogo che, più di ogni altro a Roma, rievoca questo particolare momento dell’anno: la basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
Fondata dall’Augusta Elena, madre dell’imperatore Costantino, la basilica venne pensata fin dall’origine come memoria fisica della città santa di Gerusalemme, luogo della Passione, della Sepoltura e della Resurrezione di Cristo.
Secondo la tradizione, seguendo la narrazione dello storico Eusebio, intorno al 327 Elena fece un pellegrinaggio in Terra Santa, dal quale riportò a Roma alcune importanti reliquie.
Modificando alcune parti del Palatium Sessorianum, edificio preesistente di proprietà imperiale dove aveva stabilito la sua residenza, Elena volle dare vita ad un santuario devozionale commemorativo, citato nelle fonti come Basilica Heleniana, o come Hierusalem.
L’ampio atrio monumentale del palazzo imperiale, di forma quadrangolare, divenne così il vano basilicale, mentre un ambiente retrostante, l’attuale cappella di Sant’Elena, accolse molto probabilmente le preziose reliquie della Passione di Cristo.
In relazione con questo spazio, recenti scavi archeologici hanno portato alla luce i resti di una vasca battesimale coeva. Ciò avvalora l’ipotesi che il complesso non sia stato creato come chiesa palatina, edificio privato ad uso esclusivo della famiglia imperiale, ma piuttosto come luogo di culto pubblico, dall’alta valenza simbolica.
Come accennato, fu nell’attuale cappella dedicata a Sant’Elena che vennero originariamente collocate le reliquie, in seguito trasferite per sottrarle all’umidità dell’ambiente. Oggi sono custodite, all’interno di preziosi reliquari, in uno spazio moderno allestito nel XX secolo.
Ma quali erano queste preziose reliquie? La tradizione dice che furono sicuramente portati da sant’Elena a Roma, a seguito del suo pellegrinaggio, i frammenti lignei della Croce, uno dei chiodi utilizzati nella Crocefissione e la terra del Calvario. A queste si aggiunsero, poco dopo, due spine provenienti dalla Corona che cinse il capo di Gesù e il Titulus Crucis, ovvero la tavoletta fatta apporre da Pilato sulla Croce di Cristo con l’iscrizione in lingua ebraica, greca e latina, su tre righe da sinistra a destra, “Gesù Nazareno Re dei Giudei” (I. NAZARENVS RE[X IVDAEORVM).
In epoca imprecisata, forse durante uno dei numerosi interventi di restauro a cui venne sottoposta la chiesa, il Titulus Crucis venne collocato in alto, sulla sommità del grande arco trionfale che precede il transetto, in una piccola nicchia contrassegnata da un mosaico di cui però, nel corso del tempo, si perse la memoria.
Fu perciò grande la sorpresa e la commozione quando nel 1492, durante i lavori di rifacimento del tetto, si rinvenne nuovamente la preziosa reliquia. Il clamore suscitato dall’evento determinò la decisione, da parte del cardinale titolare Pedro González de Mendoza, di decorare il catino absidale con affreschi raffiguranti le Storie della Vera Croce, attribuiti al pittore Antoniazzo Romano.
Nelle scene che corrono alla base del catino sono ricordate le vicende che hanno portato sant’Elena al rinvenimento della Vera Croce di Cristo. Esse sono desunte dalla Legenda Aurea, testo scritto nel XIII secolo da Iacopo da Varagine, che già in precedenza aveva ispirato Piero della Francesca nella realizzazione del celebre ciclo della Vera Croce nella chiesa di San Francesco ad Arezzo.
Nel testo, che raccoglie leggende e narrazioni precedenti contenute nei Vangeli Apocrifi, si racconta che durante il pellegrinaggio in Terra Santa, sul luogo suggerito da un ebreo in corrispondenza del Golgota, Elena rinvenne tre croci. Per distinguere quella di Cristo da quelle dei due ladroni, esse furono accostate ad un cadavere che veniva condotto alla sepoltura; solo una di esse, la Vera Croce appunto, lo fece resuscitare.
Gli stessi episodi sono ricordati nella splendidi mosaici della volta della cappella di Sant’Elena, realizzati agli inizi del 1500 probabilmente su disegno di Baldassarre Peruzzi. Nella cappella, dove secondo la tradizione Elena volle spargere sotto il pavimento la terra del Santo Sepolcro, la santa è raffigurata in una bella statua, realizzata adattando una scultura antica con l’aggiunta dei simboli della Passione.
A conferma del ruolo di primaria importanza sempre avuto dalla basilica come centro di venerazione delle reliquie di Cristo, è opportuno ricordare che già dal V secolo vi si celebravano le liturgie della quarta domenica di Quaresima e del Venerdì Santo, quando il pontefice vi giungeva in processione a piedi scalzi partendo dal Laterano.
La fondazione imperiale e il nome stesso della chiesa, Hierusalem, sta dunque ad indicare che in questo sacro luogo si è voluto esprimere la totalità delle sante memorie della città della Palestina, effettuando così una forma di ideale simbiosi delle due principali capitali cristiane.
Fiorenza Rausa