La chiesa di San Paolo entro le mura fu la prima chiesa non cattolica edificata a Roma dopo l’unità d’Italia. Lo Stato Pontificio aveva infatti tollerato la presenza in città di altre confessioni religiose, ma non aveva mai permesso l’edificazione dei relativi luoghi di culto, le cui funzioni dovevano essere svolte all’interno delle ambasciate o in case private.
A partire dal 1871, nel clima di libertà religiosa concessa dal nuovo stato laico, il reverendo americano Robert Jenkins Nevin si impegnò tenacemente affinché la comunità anglicana americana avesse finalmente una chiesa che, secondo le sue intenzioni, doveva essere “di pietra in stile neogotico”.
Anche la scelta del luogo dove sarebbe sorta, all’angolo fra via Nazionale e via Napoli, fu altamente simbolica e di certo non casuale. Via Nazionale, concepita come collegamento fra la nuova stazione ferroviaria Termini e piazza Venezia, divenne l’asse viario preminente nello sviluppo della capitale, la strada più rappresentativa del rinnovamento edilizio della “Terza Roma”, lungo la quale si sarebbero concentrati importanti edifici quali il Palazzo delle Esposizioni e la Banca d’Italia.
Il 25 Gennaio 1873, festa della Conversione di San Paolo, fu posta la prima pietra della chiesa dedicata all’apostolo delle genti. Fu lo stesso reverendo Jenkins a scegliere come architetto George Edmund Street, uno dei più famosi esponenti del revival gotico, strettamente legato con l’ambiente artistico preraffaellita di Londra, che successivamente progetterà anche la chiesa anglicana inglese di All Saints in via del Babuino.
L’edificio, che può essere definito il più interessante esempio di arte sacra nella Roma dell’Ottocento, è un vero e proprio museo delle arti applicate poiché venne seguita con coerenza stilistica e cura artigianale l’esecuzione di ogni particolare di decorazione e arredo, dalle eleganti cancellate esterne della ditta Potter and Sons, alle vetrate della ditta inglese Clayton and Bell; dai pavimenti in stile veneziano, ai pannelli di maiolica dipinta in rilievo lungo le pareti laterali, attribuiti a William Morris ma realizzati da Frederick Garrard, allievo di Street.
Nell’abside e negli archi del coro e del presbiterio è rappresentata l’impresa più grandiosa della chiesa: il ciclo dei mosaici di Edward Burne Jones. Progettati nel 1881, essi raffigurano la Gerusalemme celeste e la Gerusalemme terrena nella zona absidale, e L’albero della vita e l’Annunciazione nei due archi. Memore della grande tradizione paleocristiana e bizantina, arricchito dalla personale visione teologica dell’artista modulata da inquietudini simboliste, il ciclo è una delle più alte espressioni delle tendenze diffuse dal movimento inglese preraffaellita, che ebbe un notevole influsso sulla cultura romana di fine secolo. Per volontà del fondatore della chiesa, alcuni dei santi e martiri della parte inferiore hanno il volto di personaggi pubblici, autorità religiose, amici e committenti: si riconoscono fra gli altri il presidente Abramo Lincoln, Giuseppe Garibaldi, lo stesso Burne Jones e sua moglie.
Nella chiesa si trovano alcuni preziosi sarcofagi romani donati dal reverendo Nevin, provenienti dalla sua ricca e raffinata collezione di oggetti d’arte composta da circa 150 pezzi.
Fiorenza Rausa